La Ballata di Epimeteo

Immagine provvisoria!

Attica Agonìade!


“Allora… questa sarebbe Tebe, eh?”

Manàzorabasileios si fece schermo dal sole con la mano tesa, e finalmente riuscì a vedere le mura tebane.

“Ma che…”

“E’ così da un po’”, fece il contadino alla guida del carro, “e non credo che torneranno bianche molto presto.”

Manà si voltò, afferrò Auvo per i piedi, la sollevò e la scrollò, facendo volare fili di paglia tutt’attorno.

“Ah! Che è? Altvi mutandemoni?”

Manà la scrollò di nuovo.

“Pev gli dei! Atlante c’ha tvaditi! Il mondo è sottosopva!”

E di nuovo.

“Gvblbl! Ah!” Auvo strabuzzò gli occhi.

“Sveglia, ora?”

“Come!” Auvo si guardò attorno, poi si rese conto che Manà la stava tenendo per i piedi. “Cos’è, giochiamo a Teti e Achille?”

“Non credo proprio,” disse Manà lasciandola ricadere sulla paglia, “anche se l’idea di gettarti in un fiume a testa in giù e vedere se così ti svegli è allettante.”

“Manà! Come…” Auvo notò solo in quel momento le mura dietro a Manà. “…ti pevmetti…” fece correre lo sguardo sulle mura fin dove potè.

Poi spaventò i buoi che trainavano il carro quando iniziò a vomitare arcobaleni.

“Ehi! EHI!” l’uomo alla guida cercò di calmare i buoi.

Manà afferrò Auvo che ancora vomitava e mentre il contadino inveiva contro di loro, si allontanò di corsa dal carro lasciando una scia multicolore nell’aria.

Giunti dinanzi alle porte di Tebe, Manà lasciò andare Auvo e si fermò a riprendere fiato.

“MA QUI HANNO LE MUVA COPEVTE DI MAVMO VOSA!”

I due soldati di guardia, che torreggiavano ai lati della porta, abbassarono il fiero sguardo, come se solo in quel momento avessero notato i nuovi arrivati.

Manà ebbe un brivido. Quegli uomini erano alti una volta e mezzo lui, e per quanto assurdo, il fatto che non portassero l’armatura li rendeva ancora più imponenti: dovevano avere muscoli che da soli pesavano quanto un uomo normale. Le aste delle loro lance erano spesse come la sua caviglia, e avevano la punta a cuore. I loro scudi parevano grandi come barche: gli sarebbe bastato lasciarne cadere uno per ridurre Manàzorabasileios in poltiglia.

Quello sulla destra si piegò su di loro, fermando la testa a due metri dal suolo.

“Per Elio! Una ragatta persiana!”

Auvo fluttuò fino a quel faccione. Poi, con espressione meravigliata, poggiò i pugni chiusi sulle guancie del guerriero e si fissarono come inebetiti.

Il soldato di sinistra abbassò il volto verso Manà.

“Scusate per il disordine” disse Manà indicando la scia color arcobaleno che aveva lasciato Auvo.

“Siamo solo due forestieri, cerchiamo-

Il volto continuò a scendere. Superò la testa di Manà, le spalle, la vita, fermandosi all’altezza delle sue ginocchia.

“Quei calzari.”

Manà deglutì. Piegò leggermente le ginocchia, pronto a scattare.

“Sono deliziosi!”

Le ginocchia gli cedettero a quel commento.

“Eh?”

“Oh, per Elio splendente, sono favolosi! Guarda che alucce!”

“Che riccetti vaporosi!”

Manà si volse e vide che l’altro guerriero stava sfiorando con l’indice i capelli di Auvo, che ne frattempo fremeva, strofinando le manine sulle enormi guance.

“Oh, ma guardati!” si sentì dire dall’altro; il gigante lasciò cadere lancia e scudo da una parte e cadde in ginocchio davanti a Manà.

“Dev’essere l’ultimo grido, a Ilio! Mmh… Miele & Pinoli®, vero? Vero?”

Cercava di decifrare il comportamento di quella guardia, ma tutto ciò che vedeva era sincera ammirazione per i suoi calzari.

“So… sono… i miei calzari…”

“Dai, non fare il misterioso, fustino, dimmi dove ne vendono!”

“Ah… fustino?”

La guardia si poggiò tre dita sulle labbra e ridacchiò.

“Si, fustino… sai che sei proprio un fustino? Fustino modaiolo, guardati, che dolce che sei, tutto smarrito!”

“Hai le guancie gvandi e movbide come focacce!”

“E tu fai quella cosa troppo carina, tutta colorata! Ma che bella coda!”

Auvo si adagiò sulle mani del guerriero, aperte davanti al suo volto.

“Ma voi avete le muva vosa! Le adovo!”

A Manà parve come guardare un uomo discutere con una farfalla.

Un uomo?

“Che accento esotico, ragattina carina!”

Manà sospirò.

***

“Bene, allova la casa è questa. Vi occorre altvo?”

“No, no, si dice occovve

“Oh, già, è vevo…”

“Vevo? Uh uh uh! Che dolce, vevo!”

“Allova ciao, ragatt- cioè, vagattina!”

“Ciao, fustino!”

“Ciao vagazze!”

Le due guardie li lasciarono e si avviarono di nuovo alla porta, commentando allegramente i nuovi venuti.

Quando sparirono dietro l’angolo, Manà asciugò le ultime macchie multicolore dal muso di Auvova usando un lembo della sua tunica.

Il contatto con quel tocco poco delicato la fece rinsavire.

“Manà! Ma hai visto?”

Manà si guardava intorno preoccupato: ovunque vedeva case decorate con colori accesi, bambini che giocavano con spade di legno glitterate e al centro della piazza una fontana con una statua di Elio baffuto, a cui avevano messo mutandine da donna, paglietta e occhiali da sole.

“Ho visto. Anche troppo.” Si volse verso Auvo. “Troviamo questo Anyon e andiamocene via.”

Auvo s’intristì. “Ma Manà…”

Il pugno del ragazzo si abbattè sulla porta targata Anyon per tre volte.

“Eccomiii!”

“Oh, per… un altro deviato, bene…”

“Manà!”

“Non è che dobbiamo tutti andare d’accordo su tutto, eh!”

La porta si aprì e sull’uscio apparve un ragazzo alto quanto Manà.

A differenza di chiunque altro, Anyon indossava un paio di pantaloni e delle ciabatte chiuse. Il petto era coperto da intricati motivi blu, mentre i lunghi ricci biondi erano trattenuti da una bandana verde. Appeso al collo aveva un diaulos.

“Salve!”

il suo sorriso fece sparire del tutto gli occhi già piccoli.

“Ehm… salve.”

Anyon si fece per qualche istante serio scrutando l’espressione tesa di Manàzorabasileios, poi improvvisamente si portò le due canne del diaulos alla bocca e prese a suonare saltellando intorno al suo ospite come un fauno.

“Ci manda Crisavio…”

Anyon si fermò.

“Un po’ di vino, sconosciuto amico?”

“Anyon, suoni vevamente bene!”

il giovane s’illuminò.

“Davvero? Allora suonerò per te, signorina…?”

“Oh, io sono Auvo. E lui è Manà!”

Manà diede un colpo di tosse guardandola, e lei sbuffò.

“Dicevo, lui è Manà…Manà Zazà Boh.”

“Non è un po’ troppo lungo?”

“E’ quello che gli ho detto anch’io!”

“Il mio nome è Manàzorabasileios!”

Anyon e Auvo lo fissarono finchè non si rese conto di aver alzato la voce.

“E’ comunque troppo lungo. Meglio Manzorba. Dimmi Manzorba, Perché hai fatto tutta questa strada solo per arrabbiarti sulla porta di casa mia?”

“Non mi sto arrabbiando! Non troppo.” Manà si guardò intorno, preoccupato. “Ci manda Crisavio.”

“Si, questo l’hai già detto.”

“Beh, Crisavio c’ha detto che tu puoi aiutarci.”

“A far che?”

“In effetti, Manà, pevché sei venuto qui da Tutu?”

Manà neanche si diede più la briga di correggerla.

“Perchè voglio realizzare il mio sogno di-

“Bene, allora prendi questo!” disse Anyon afferrando un grosso sacco accanto alla porta e lanciandolo addosso a Manà.

“Ma cos’è? Ci sono strumenti da laboratorio?”

“No, serve per andare a Krommyon. Vedrete, sarà divertente!” Ciò detto, Anyon andò nel retro di casa sua e tornò su di un carro trainato da cavalli.

“Avanti, caricate le vostre cose: si parte!”

Auvo e Manà si guardarono perplessi, per poi salire senza fare altre domande.

“Al galoppo!”

***

Arrivarono che ormai era sera, e lasciarono il carro alla locanda dove avrebbero alloggiato, per poi andare a fare un giro per la città.

Krommyon era più affollata del cavallo di Troia: la strada principale, in cui Anyon, Manà e Auvo s’erano infilati, era completamente ostruita dai passanti, che vociavano, cantavano, gridavano e in generale bevevano. Accanto alle bancarelle che vendevano il vino in vista della serata, c’erano anche quelle che vendevano portachiavi a forma di cetra, dolci a forma di aulos, becere imitazioni di strumenti musicali a malapena funzionanti e tuniche bianche con su scritto “Settordicesima Attica Agoniade: ήμουν εκεί!” o “mia moglie è stata alla Settordicesima Attica Agoniade e tutto quello che mi ha riportato è stato questo figlio”, quest’ultima formato XXS.

Il terzetto riuscì finalmente a sbucare sull’agorà, a sua volta affollata.

Anyon mandò giù in un sorso il vino dalla sua coppa, la schiacciò contro la fronte e la gettò via.

“Eccoci a Krommyon! Ah, che magnificenza! Che luogo magico! Che-

“Anyon, ora mi spieghi perché siamo qua!” fece Manà spazientito. Non ne poteva più di queste perdite di tempo.

“Ma pev l’Attica Agonìade!” rispose Auvo, con la voce impastata, gli occhi lucidi, e una coppa vuota per cappello.

“E che sarebbe?”

“Sono la vettvice! Bevi!” gridò Auvo forzando contro le labbra di Manà la coppa che aveva in testa poco prima.

Dal balcone del palazzo più in vista di tutta la piazza si affacciò una giovane donna dai lunghi ricci neri, avvolta in una tunica viola bordata d’oro.

Attide, regina di Krommyon e della costa circostante, con volto sereno e guance color della sua tunica ruttò poderosamente sull’agorà, che si fece silenziosa, e poi iniziò a gridare: “Che bello, che bello! Ah ah ah! Suonatori! Citaredi, auloti, percussionisti, bitbòxeroi, tutti! Stasera ci sarà la gara finale! Accorrete numerosi al teatro!”

Mentre la folla di sotto esultava, fece per portarsi alle labbra uno skyphos di pramnio, ma venne afferrata dalle sue sorelle nel tentativo di trascinarla di nuovo dentro il palazzo.

“State ferme, zitellacce!”

“Ma stai buona te, Attide!” disse Korinna.

“Attide, sii ragionevole!” disse Kleio.

A vederle da così lontano, Manà riuscì solo a capire che una aveva un petto florido e che l’altra fosse molto alta per una donna.

“Ooh! Allora sapete cosa?” Attide si rivolse nuovamente alla folla: “Chi vince può scegliersi una di queste zitellmfgfgmfg!”

con la bocca tappata, Attide venne finalmente ritrascinata dentro.

Manà guardò Anyon e si accorse che fissava ancora il balcone con occhi sognanti.

“Ehi, però… quella Kleio, così alta… ho sempre sognato una donna più alta di me!” si volse verso Manà: “sarebbe bello poterla sposare…”

In quel momento, rossa in volto, Attide si riaffacciò e la folla ammutolì di nuovo.

“E quella che vi scegliete ve la sposate pure!” gridò, poi le sorelle la riportarono dentro con la forza.

“Evvai, mi sposo! Devo vincere assolutamente!” disse Anyon, “Per Kleio!”

***

Manàzorabasileios, l’uomo giunto dal cielo in una meteora, il pilota di mecha, colui che è capace di mantenere la calma persino di fronte ad Ablabia, si era perso.

“Auvovaaa! Anyooon!” gridava intorno a sé, ma sapeva benissimo che non potevano trovarsi lì, al mercato del pesce.

“Come ci sono finito qui?!”

“Come fa a costare tanto una torpedine?”

Manà si voltò e capì che a parlare era stato un ragazzo dai lunghi capelli biondi che portava una cetra gialla a tracolla.

“Prezzi dell’Agonìade, ragazzo, è così ogni anno.”

“Paiono più prezzi da agonia, per chi deve mangiare!”

Il mercante adocchiò la cetra.

“Dì, potremmo fare uno scambio… che ne dici?”

“Cosa… mai!” fece il ragazzo abbracciando la sua cetra.

“Bah! Allora puoi anche andartelo a pescare da solo, un pesce, specie di orso àrcade!”

La battuta fece scoppiare a ridere anche gli altri pescivendoli.

“Questi dovrebbero bastare”, fece Manà lanciando alcune grosse monete sul banco.

“Si, questi bastano eccome, signore!”

Manà annuì e afferrò la torpedine più grossa dal banco.

“Grazie, amico!”

Manà si volse verso il ragazzo biondo.

“Di che?”

“Scusami, ma non l’hai comprata per me?”

“Certo, come no. L’ho pagata quanto un superattico in centro a Corinto, Perché non regalarla al primo che passa?”

L’altro si fece rosso in viso.

“Dì, come ti chiami?”

“Arcade. Sono un arcade.”

“Nel senso che devo infilare un getto-

“Basta con ‘sta battuta, maledetto Deimos! Sono un àrcade! Dall’Arcadia!”

“Va bene, va bene, non ti scaldare, Arcade l’arcade! E come mai sei qui a comprar pesce invece di partecipare all’Agonìade?”

“Beh, vorrei, ma come faccio? Ho solo la mia kithara… la mia cetra.”

“E allora?”

“Mi occorre un cantore.”

Manà tese il braccio verso Arcade, e si afferrarono gli avambracci a vicenda.

“Bene, Arcade. Hai trovato il tuo cantore.”

Arcade s’illuminò in volto.

“Oh, bella! Ora stai a vedere che magari riesco pure a conquistarmi la bella Korinna!”

Ed io a salire sul palco, pensò Manàzorabasileios.

***

Il pubblico assiepato sui gradini del teatro gridava già alla truffa, mentre lanciava di tutto sul palco.

“Sorella, pare che non ci sia alcun partecipante.” fece Korinna.

“Eh?”

“Attide, ma non mi vuole nessuno?” piagnucolò Kleio.

“Ma che dici!” la regina scattò in piedi e il brusio cessò.

“Allora? Nessuno vuole Korinna?”

“per fare la fine di Orione?” disse qualcuno dagli spalti, e tutti risero.

“Allora… Kleio?”

“Piacerebbe giusto a un tebano!” disse qualcun altro, e tutti risero nuovamente.

“Attide, ritira questa condizione e andiamo avanti con la gara!” sibilò Korinna.

“No!” s’incaponì Attide, “Una di voi due si sposerà, punto e basta!”

“Io! Io! Partecipo io!” gridò Anyon correndo verso il palco, seguito da Auvo.

“…Saresti, scusa?” chiese Korinna.

“Anyon, signora!” poi, volgendosi verso l’altra principessa, “E amo Kleio!”

La folla si produsse in un oooh collettivo.

Kleio s’irrigidì e divenne tutta rossa. Quello era davvero un bel ragazzo.

“Del vino, per favore…”

Anyon sorrise.

“Non ho sentito un no, mia regina Attide!”

“Kleio, a te sta bene?” chiese Attide alla sorella.

Kleio sollevò sopra la testa un pollice tremante mentre con l’altra mano vuotava il calice.

La folla esultò, Attide scoppiò a ridere, Anyon si diede il cinque con Auvo e Korinna sbuffò.

“Allora, in mancanza di sfidanti, dichiaro-

“Lo sfido io!”

“ARCADE!”

la folla stavolta ammutolì.

“Lo conosci, Korinna?” chiese Attide sollevando un sopracciglio.

“Eh? Fi. Lo conofco.”

“Korinna?”

“Mh? Che f’è?”

“No… niente…” Kleio si girò di nuovo e incrociò lo sguardo magnetico di Anyon. Seconda coppa di thasio.

Dietro ad Arcade apparve Manà, con una cetra gialla che ronzava sommessamente.

“Manà! Che fai qui? Dov’evi finito?”

“Dov’eravate finiti voi! Auvo, quante volte t’ho detto di non fluttuare via?”

“Non sono mica scappata via… gelosone.”

Manàzorabasileios balbettò qualcosa e poi arrossì, sorprendendo Auvo.

“Ciao, arktos.” fece Arcade a Korinna.

“Uuh, ti ha chiamata orsetta, che carino!”

“Ftai ffitta, Affide.”

“Insomma, non sei qui per la mia Kleio, eh?”

“Uuh, ha detto che sono sua…!” Kleio svenne sul suo trono.

“No. Troppo alta. Preferisco un’orsetta alla tua Kleio.”

“Oh!” scattò Korinna agitandosi sul trono. “Macchè una! Io non sono una! Devo essere l’unica!”

“Vabbè, s’è capito!” rispose Arcade, già esasperato.

“SFIDANTI!” gridò Attide, “Siete pronti?”

“A che, tanto abbiamo già detto che-

“Le regole le faccio io! Sono la maledetta regina e decido io! Solo uno di voi si sposerà con una delle mie sorelle! E sarà il vincitore di questa gara!”

Anyon e Arcade si guardarono: rendendosi conto che nessuno dei due si sarebbe ritirato, imbracciarono gli strumenti. Il pubblico esplose in un tifo a squarciagola, chi per Anyon, chi per Arcade. Manà e Auvo si scambiarono uno sguardo d’intesa. Essendo loro i rispettivi cantori, si trovarono d’accordo sul competere in un campo in cui combattevano alla pari.

Le gole si schiarirono.

Gli strumenti erano pronti a fare scintille.

I due suonatori erano decisi a conquistarsi la loro principessa.

Attide sollevò una mano, e quando l’abbassò, la terra venne scossa da un terremoto.

Tutti caddero a terra, molti gridarono.

Mentre la terra ancora tremava, Auvo, unica in grado di volare, si sollevò da terra e fluttuò al di sopra del teatro. Quello che vide le diede un brivido di terrore.

Il mare dell’insenatura non si vedeva più. Le isole in lontananza non erano visibili, tutto quello che si vedeva era un altissimo muro di terra, roccia e radici.

E sulla sommità del muro, Auvo vide la sagoma inconfondibile di un minotauro.

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Buoni propositi

gennaio 20th, 2012

Chiedo subito scusa per l’assenza prolungata.
Quei pochi di voi che già mi seguivano sapranno bene quanto io sia interessato a intraprendere la carriera di scrittore fantasy. Per questo, da un paio d’anni, seguo alcuni blog e studio manuali di scrittura creativa, mentre mi applico per scrivere qualcosa di buono. A proposito di come scrivo, tutto quello che trovate qui non è mai stato rivisto: a parte refusi e bestialità grammaticali, nulla è mai stato corretto.

Diciamo che è il mio modo di vedere se miglioro.

Sarà un anno maledettamente impegnativo: esami, laurea, scrittura, palestra, lavoro.

Se volete bussare alla mia porta, fate pure. Sarò felice di ascoltarvi, di discutere, riflettere…

Però, ricordatevi cosa dice il Duca.

Oppure quello che dice Konrath.

Oppure non lo so, date ascolto a chi volete, io devo andare a letto.

Perchè tra cinque ore si ricomincia a scrivere.

🙂

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Avevo promesso qualcosa sull’Amore, in occasione delle Offese Gratuite di fine 2010, e questo è tutto quello che ne è venuto fuori.

Canto armi e modi,
oltraggiosi senz’altro,
dell’uomo è la bestia
parente in ‘sto canto,
dicevo pertanto,
ch’io questo canto:
era un tempo felice,
solare senz’altro,
in cui si svolgea
trocaica tenzone,
che nome tenea
di “Prosper Culone”.
S’affrontavan dunque,
in rural magione,
Veneree le Ancelle
che altrui lassavan
sprezzanti il pudore:
s’alzavan quelle
ammiccanti le gonne
e a tutti chiedevan
quanto fosser donne.
Rispondevan dunque,
Sbauscianti d’amore,
Null’uomin che al membro
preferivan Cuore:
“Pensiamo noi insomma,
dei vostri argomenti,
che meglio osservati
quei andrebbero in tanti”
al che gli risposero,
in coro le donne:
“Doveste voi anche saper cosa farne,
non è poi affar vostro saggiar questa carne”
Sì molli si fecer
virili argomenti,
che tristi tentaron
fior di pagamenti.
Sicchè quelle altre,
per nulla scontente,
pecunia afferraron,
ma chiuser le tende.
Salite che furon
poi ratte a cavallo
gridarono a quelli,
fuggendoli irrisi:
“Un bacio è di tutti,
così van le cose,
ma più su dei ginocchi
non bastan le rose!”

Non dice nulla che già non sappiate/pensiate? Ve siete rotti de’ ggente che eloggia l’Ammore? Eh beh. Ve capisco. Ero così anch’io, quindi tranquilli: se anche doveste trovare l’Amore, è comunque possibile che rimaniate scemi. ^^

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"Chissà che in due non lo facciate, un cacciatore di taglie!"

Ma i pokèmon sognano mareep? –ep.8

Ad opera di Shin Nyouko… che se non la pianta, verrà soppresso.

 

Il cellulare mi vola via di mano mentre vengo scaraventato contro un furgone.

Sbatto sul metallo e scivolo a terra; sto per svenire…merda…

Tre lunghe dita di metallo afferrano il bavero del mio impermeabile e mi sollevano da terra, l’ultima cosa che vedo.

“DEECKARD!”

Mi sveglio di soprassalto, un dolore rinnovato mi prende alla schiena.

“Aaaaargh!”

“Deeckard! Non dovevi farlo!”

“Ah… Satoshi… ah…”

“Muori!”

“SPADASOLENNE!”

Mi fanno male gli occhi per l’esplosione di luce.

Tutto quello che sento è un grido e poi cado di nuovo a terra.

***

Apro gli occhi.

“Deeckard, come sta?”

“Feria…?”

Sono steso a terra, e Feria mi accarezza la testa.

Sarà questo il Paradiso?

“Sveglia, pigrone!”

Scatto in piedi e snudo la pistola.

“Chi è?”

Guardo davanti a me. Un grosso pokèmon peloso con un rostro di metallo sulla testa è disteso davanti a me, morto.

“Sean!”

Guardo dietro di me e vedo Feria.

“Feria, che Mewtwo è succ-

“L’ho salvata. Stava per morire.”

“Che cosa? E come avrebbe-

“Sono un pokèmon acciaio, ricorda? Posso battere uno di questi anche con un’ala legata dietro la schiena.”

“Ehi… beh… già…”

Rinfodero la pistola, Feria mi tende una mano per aiutarmi a rialzarmi.

“Feria…”

“Si, lo so, Deeckard… ma vede, ho riflettuto sulla mia condizione d’uccello di metallo, e credo d’essere pronta per questo passo.”

“Che passo?”

“Beh, essere un pokèmon acciaio.”

“Cioè si sente pronta ad essere sé stessa?”

“Piano con le parole, Deeckard. Chiunque m’abbia programmata, sapeva il fatto suo.”

“Che intende dire?”

Feria apre un’ala di scatto, e da sotto le piume da farfetch’d, come fossero unghie di persian, scivolano fuori delle lame d’acciaio.

“Che ho un corpo potente e reazioni da femmina.”

“Feria, mi sembra un po’ diversa…più dura, ecco.”

“Non mi sembra strano. Ho sempre convissuto con questa sensazione che qualcosa non andasse nella mia vita, ed ora so cos’è. Ovvio che sia più sicura, no?”

Feria richiude l’ala e mi fissa dritto negli occhi.

“Deeckard, io posso aiutarla a fermare Hyde, Heff e il terzo fuggitivo.”

Sospiro.

“Ammazzarli non la farà considerare un normale pokèmon organico dalla gente.”

“Chi, gli oppressi? Deeckard, in quanto segretaria d’un pokèmon d’affari, io so tutto dei suoi progetti.”

“Cioè?”

“Deeckard, maledetta ruga folgorante, che Mewtwo è successo?”

Ci voltiamo entrambi, e vedo sopraggiungere il Capitano della Polizia con una squadra dei suoi.

“Capitano, che sorpresa… anche lei affascinato dalla vista dei cadaveri freschi?”

“Ti avevo espressamente richiesto di riportarli indietro, non di rispedirli a Satoshi!”

La squadra raccoglie il cadavere e lo porta via, non so dove.

“Sono merce difettosa, no?”

Alle mie parole, Feria ha un sussulto.

“Eh… Coil avrebbe già tentato di colpirmi…”

Vedo l’addome del beedrill contrarsi: metto una mano in tasca, sulla pistola.

“Deeckard… dov-

“Coil è andato.”

“Andato?!”

“Si, vittima dello scontro che ho avuto col gruppo dei fuggitivi. A proposito, Capitano, quei quattro giravano sotto casa mia in tutta tranquillità, e non hanno certo l’aspetto di pokèmon comuni… come mai i suoi ragazzi non se ne sono accorti?”

Rapidissimo, infila la punta di una sua zampa in un’asola del mio impermeabile e mi tira a sé, così gli punto la pistola addosso da dentro la tasca.

“Deeckard, vedi qualcuno dei miei qui, ora? O da qualunque parte per tutta Los Alchermes? Ti risulta che questa città sia un posto sicuro?”

Mi getta a terra, e Feria si affretta a soccorrermi.

“Perché credi che sia stato costretto a rivolgermi a te, quando dovrebbe essere compito nostro ritrovare quei quattro?”

“Beh, io costo” dico rialzandomi, “quindi i soldi per pagarmi li avete.”

“Li hanno, vorrai dire. Preferiscono rinunciare a qualche credito, piuttosto che allontanare i miei uomini dai loro palazzi.”

“Ma di che-

“La Portanza, Deeckard, anche se pochi la conoscono con questo nome.”

Il Capitano la guarda stupito.

“E lei chi è? Perdoni la sincerità, ma credevo che questo incapace stesse festeggiando un lavoro svolto male trastullandosi con una prostituta.”

“Almeno ci pagano, Capitano.”

“Signorina… non le conviene offendere uno con la mia posizione…”

“Beh, ma da qualcuno con ancora attaccati pezzi di kakuna al carapace io non ho nulla da temere.”

“Bene. Vedo che almeno uno di voi due ha la stoffa per portare a termine il lavoro. Chissà che insieme non lo facciate, un cacciatore di taglie!”

Il Capitano ride, poi si volta e s’avvia nella direzione della volante. Ci rimango male, ammetto.

“Ora che facciamo?”

“Beh, se non sbaglio, Hyde e Heff sono appena passati davanti alla mia scrivania.”

“Come fa a saperlo?”

“Il signor Wesax mi ha appena inviato una comunicazione d’emergenza. Immagino sia morto, ormai.”

“E lei non corre in suo aiuto?”

“Perché dovrei aiutarlo? Non è mica lui, mio padre.”

Feria spalanca gli occhi.

“Mio padre! No!”

Inizia a correre, e io tento di starle dietro.

“Dove va?”

“Dobbiamo raggiungere mio padre prima che sia troppo tardi!”

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Darth Troll, the Sith LOL’d

luglio 15th, 2011

Scusate, ma rivedendo La vendetta dei Sith m’è troppo venuto in mente. Deformazione da inventore di storie? XD

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Io sono il mago. Qui posso ciò che voglio.

Traggo potere dalla mia fantasia, per canalizzarlo atraverso la mia penna.

Schiere di fogli bianchi hanno tentato di sbarrarmi il cammino, e li ho abbattuti lanciando nugoli di parole che li hanno trafitti e lì sono rimaste, a eterno mònito per qualunque sprovveduto blocco dello scrittore che volesse tentare la sciocca impresa.

Ma a parte ‘ste sparate fikixime,  sono lieto di annunciare la mia adesione al progetto Xxxxx!

“E che è?”, direte voi.

“Nun ve lo posso ancora dì”, vi rispondo io. ^^

Sia chiaro, parlo di un lavoro ancora allo stato embrionale. Io mi occupo semplicemente di scrivere i background di alcuni personaggi, ma cerco sempre di dare una mano anche con l’ambientazione… e vi assicuro che l’intera faccenda mi eccita non poco 😀

Così i miei compiti all’interno del progetto Xxxxx mi stimolano a creare di tutto, dalle sparate fikixime di poc’anzi, passando per ciò che pubblico generalmente su questo blog, fino alle mie storie più serie, quelle che per ragioni di timidezza non vi farò leggere mai XD

Mostra

Ma chissà, forse in futuro… U///U

Beh, come direbbe il capoprogetto:
…perfetto: CIAO.
_______
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Povero Deeckard...

Ma i Pokemon sognano Mareep? -ep.7

By Shin Nyouko. Si spera ancora per poco.

Atterro proprio in mezzo a loro, molleggiando sulla punta della coda e lanciando un’Ondashock che li tramortisce tutti.

“Deeckard…”

Deeckard, li sento implorare. Deeckard. Ma è troppo tardi, sono tutti e quattro a terra semi paralizzati e ancora percorsi da qualche scintilla.

Ho vinto io.

“Deeckard…”

Invocano il mio nome, come se volessi salvarli dalla sottomissione in cui io stesso li ho ridotti. Balordi.

“Deeckard!”

“HOOOOOO… VINTOOOOOOOOOOOOO!”

Spalanco gli occhi che sono seduto a terra in mezzo alla strada, colle braccia alzate e un dolore martellante alla testa. Per qualche momento, vedo anche tutto in pixel grossi come il mio pugno.

“Che dolore!”

Mi porto la zampa alla testa, e rimane schiacciata tra questa e qualcosa di pesante che vi cade sopra.

Mentre urlo,  Coil fluttua nel mio campo visivo entrando dall’alto.

Aspetta un momento… ehi! Maledizione!

“COIL!”

“Ah, sei sveglio, alla buon’ora, tuono a nulla!”

“Che Mewtwo di bisogno c’era di saltarmi sulla testa?!”

“Ricordi che ti sei lanciato dal tuo balcone fin qui?”

“Si, e allora?”

“Bene. Ovviamente all’impatto col terreno sei svenuto per il dolore.”

“…Davvero?”

“…si. Ora andiamo.”

Quella palla non me la contava giusta.

“E, dì un po’, Coil… come mai non mi fanno male le gambe?”

“Perché sei atterrato sulle zampe anteriori. Faceva molto predatore, complimenti, ora andiamo.”

Mi alzo in piedi, risistemo l’impermeabile, mi rimetto il cappello e infilo le mani in tasca.

“Coil… l’unica cosa dolorante è la testa…”

“…Eh? Mh. Tanto meglio no?”

“Sei tu che mi sei atterrato in testa, ci scommetto!”

Snudo la pistola e inizio a sparare a Coil: schiva tutti i proiettili tranne uno, che lo manda a sbattere contro un muro per poi cadere a terra.

Mi avvicino per vedere se l’ho ucciso, e lui mi risponde con un Raggioscossa che mi passa proprio tra le orecchie.

“NOI POKEMON ACCIAIO LA SPUNTEREMO!”, urla Coil, poi riprende a fluttuare e sparisce dietro un angolo.

Sono lì che fisso il punto in cui Coil è scomparso.

“Perfetto…”

Il mio telefono prende a suonare, lo estraggo e sullo schermo leggo “Feria”.

Beh, rispondo. Che altro potevo fare?

“Pronto…”

“Deeckard! Ho notizie!”

“Che bellezza, Feria!”

“Deeckard, che fa, sfotte?”

“No, si figuri. Voleva dirmi qualcosa?”

“Si, ecco, pare che i pokèmon acciaio fuggitivi siano cinque, non quattro!”

“Feria, posso spiegarle tutto…”

“Davvero?”

“No.”

Chiudo la chiamata, e rimetto il telefono in tasca, tanto avrei solo perso tempo; rinfodero la pistola e m’avvio nella direzione in cui è scappato Coil.

Forse non dovevo sparargli.

E forse non dovrei bere tanto.

Che Mewtwo, allora non avrei neanche dovuto frequentare quel corso sul sushi di Kanto!

“Bah.”

Mi fermo, mi accorgo solo ora di essere arrivato all’incrocio della strada con Via Rosso.

“Ehi, qui è pieno di pensioni pokèmon…”

Frugo in tasca, e trovo solo qualche moneta.

“Di questo passo non me la farò mai, una lopunny…”

Dò un’occhiata alle vetrine e ai listini prezzi, e senza che me ne accorga una delle ragazze mi si fa sotto.

“Ehi, bello, ti va di farti un giro? E’ un pezzo che non trombo di tuono, sai?”

Volgare è volgare, si… ma Mewtwo, se è tutta femmina!

“E pensi di essere alla mia altezza, pupa?”

“Tesoro… se vuoi, giochiamo alla rivelazione…”

“E che sarebbe mai?”

“Beh… io spalanco occhi e bocca, cado in ginocchio, guardo verso l’alto con passione e accolgo il verbo dentro di me riempiendomi d’Amore.”

Arrossisco, eccome.

Faccio per metterle una mano sul fianco, ma stranamente lei non si fa toccare.

“Ehi.”

“Che c’è, piccola?”

Mah, sarà nuova.

“Piccolo sporcaccione, non possiamo qui… vieni in camera mia, ho un disco da farti sentire…”

Mi prende per mano e noto che è fredda.

“Spero che la puntina regga per tutti e quarantacinque i giri”, faccio io, e la seguo fino al piano di sopra, dove entriamo nella sua stanza e sediamo sul  letto.

“Allora,”dice spogliandosi, “cosa ci fa un pikachu in questa città?”

Mi fermo con le dita ancora attorno al primo bottone della camicia.

“Come fai a sapere che mi chiamo Deeckard?”

“…”

Mi salta addosso. Letteralmente. Questa uovo di puttana mi salta addosso!

“MUORI!”

Riesco a rotolare via quanto basta da vederla  sfondare il pavimento nel punto in cui ero poco prima e cadere al piano terra.

Estraggo la pistola, salto giù nel buco e mi faccio malissimo.

“Avanti Deeckard!” dico a denti stretti, e inizio a inseguirla per i vicoli.

“Eenee!”

Sparo un colpo, ma la manco. Il proiettile successivo segue la stessa traiettoria.

“Maledizione!”

Corro ancora dietro a Eenee, e inizia a mancarmi il fiato.

Tento il tutto per tutto.

“TUONONDA!”

Lo sforzo mi fa mancare improvvisamente il fiato, devo fermarmi.

“Aaargh!”

Devo averla colpita! Ottimo!

Ma vedo Eenee rialzarsi. Il mio attacco l’ha colpita, si, ma non con la forza che avrebbe avuto anni fa.

L’ho solo rallentata un po’, è ancora più veloce di me.

Sollevo la zampa e faccio fuoco, centrandola in piena schiena. La vedo accasciarsi senza un suono.

“Ma che…?”

Mi guardo il braccio; non mi ero reso conto di averlo sollevato.

“Questa poi…”

Mi avvicino al corpo immobile, tento di tastarle il polso… ma è come far scorrere il dito su una lattina di cibo in scatola.

Decido che è morta, e mi accendo una sigaretta di cioccolato proprio quando inizia a piovere. Spero non mi si spenga.

Estraggo il telefono e richiamo Feria.

“Feria?”

“Chi è?”

“Deeckard. Gli androidi sono ancora cinque?”

“…No! Sono tornati a quattro! Ma come ha fatto?”

Sospiro.

“Magia, Feria. Magia. E un guasto nei vostri computer che ho appena provveduto a riparare.”

Chiudo la chiamata. Ma perché non ne rimanevano solo tre?

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Eravamo rimasti qui, ricordate?

Intimo Allarmismo!

Manà scattò a sedere, e si guardò intorno ad occhi sgranati: nel vedere attorno a sé pezzi di metallo viola, ingranaggi e strisce di pelle di cinghiale, il volto gli si illuminò.

“Siiii! Uno sfasciacarri! Troverò tutti i pezzi per costruire un robot vol… volan… volaBLEURGH!”

e rigettando, cadde a faccia in giù.

***

“…ed è così che vi ho trovati sulla scogliera e portati qui.”

“Beh, gvazie!”

“Si, Crisavio, almeno ci siamo risparmiati qualche pagina di risvegli noiosi.”

“Non c’è di che!”

“E come possiamo vingvaziavti?”

Crisavio si passò una mano fra i lunghi capelli biondi. In quel momento si credeva così bello che anche il narratore non potè fare a meno dihihihihihihihihihihhh!

WAH AH AH!

Cioè, Crisavio te lo lascio immaginare, guarda. Sappi solo che era biondo, riccio, alto, ben piazzato e con gli occhi marroni!

…e si, “ben piazzato” starebbe per “panciuto”.

“Ringraziarmi? Beh… potreste iniziare coll’aiutarmi a dimostrare che non sono un pervertito.”

Auvo volò fino al muro opposto della capanna e ci si appiattì contro.

“SEI UN PEVVEVTITO?!”

“Eh?”

“Ha chiesto se sei un pervertito.” disse Manà.

“Ah. CERTO CHE NO!”

“WAAAAAH!”

“Sono stati i mutandèmoni!”

Auvova e Manà si guardarono e poi tornarono a guardare Crisavio.

“Chi, scusa?”

“I mutandèmoni! Bizzarre creature provenienti dall’Oltretomba che sono solite rubare mutande nottetempo, sciacquarle nello Stige e riporle tra i panni puliti dei proprietari… che poi indossandole MUOIONO!”

“Muoiono?”

“MUOIONO!”

“Ok, io me ne vado,” fece Manà, “non vedo perchè dovrei aiutarti a combattere creature che potrebbero uccidermi con gavettoni di morte!”

“Già! E poi che savebbevo queste “mutande”, eh?”

“Cos…”

“Senti, un’informazione: l’Eubea, uscendo da qui, è a sinistra o a destra?”

“L’Eubea?!”

Manà aggrottò la fronte a quella reazione di Crisavio.

“Si, l’Eubea, perchè?”

“Ma dove… ma da dove venite, voi due?”

“Dal mave.”

“Dall’Olimpo.”

“Ah.” Crisavio tese loro la mano. “Piacere. Kull di Atlantide.”

Manàzorabasileios gli colpì la mano con uno schiaffo, sbuffò, e si diresse verso la porta seguito da Auvo. Crisavio li raggiunse proprio quando Manà aveva afferrato la maniglia.

“Aspetta, non andate, vi prego!”

“Beh, ma che ti aspetti che faccia, che ti aiuti a rubare tumande?”

“Ma che t’aspetti tu, piuttosto! “Dall’Olimpo” un cavolo, sei mortale quanto me! …e comunque si dice “mutande”.”

“Mmh…allora se sono come te a che ti serve il mio aiuto?”

Auvo, stufa di stare a sentire Manà discutere con un pervertito, volò fuori dalla finestra accanto alla porta.

“Chissà, magavi mi ha anche toccata mentve evo svenuta… tsk…”

Sbattè contro qualcosa e cadde a terra.

“Ahia! Ma che… oh… ma è notte! E me ne accovgo solo ova!”

“Forse perchè fantasticavi su quello che ti ha toccata?”

“Zeus non vogl-WAAAAH!”

La porta della capanna si spalancò e Manà e Crisavio corsero fuori.

“Auvova!” Manàzorabasileios fece in tempo a vederla che lei gli volò in braccio, tutta tremante.

“Maledizione, sono loro!” fece Crisavio, poi fece scivolare a terra la tunica, si tolse le mutande, le appallottolò e lanciò lontano.

Due o tre piccole figure scure guizzarono via da terra in direzione del lancio.

“Per fortuna ho fatto in tempo…” disse Crisavio voltandosi verso di loro, “…dovreste ringraziarmi!”

Auvo guardava a occhi spalancati il ragazzo biondo. Manà sembrava sul punto di esplodere.

“Beh? Che c’è?”

“Sei nudo!”, gridò Manà.

La porta di una capanna vicina si spalancò e sull’uscio comparve un vecchio spettinato e sdentato.

“Chi è che è nudo?!”

“Cavolo!”

Il vecchio vide Crisavio nudo e corse dentro.

“Ah, faccio quest’effetto? Grazie!”

Il vecchio corse di nuovo fuori.

Con un arco e una faretra piena di spaghetti.

“Maledetto nudista, vai a fare il ciccione da un’altra parte!”

Auvo scoppiò a ridere.

“Non sono ciccione! E tu non ridere, che non era neanche originale!”

Manàzorabasileios, con Auvo sotto il braccio, corse via, seguito a ruota da Crisavio (ma proprio nel senso che rotolava, causa tunica all’altezza delle caviglie), mentre intorno a loro piovevano spaghetti.

***

Ancora notte di luna piena, in Magnesia. (ah, per chiunque se lo dovesse chiedere, si: contemporaneamente è notte pure in Eubea ^^)

Nascosti dietro un cespuglio, Manàzorabasileios, Auvo e Crisavio sono pronti a combattere la minaccia mutandemoniaca.

“Allora… qual’è il piano?”

“Dovete aiutarmi a riabilitarmi agli occhi del villaggio, quindi, appena vedrete dei mutandèmoni, dovrete aiutarmi a coglierli sul fatto, e una volta bloccatone qualcuno in posizione compromettente, sveglieremo tutto il villaggio per fargli vedere che ho ragione io!”

“Scusami, sai, Cvisavio… ma, se come dici si muove indossando quelle mutande, nessuno s’è ancova chiesto pevchè?”

“I sassi.”

“Eh?”

“I sassi, davvero. Il villaggio è arrivato alla conclusione che le mutande delle donne le rubi io, e che tutti gli uomini morti per via di mutande ancora bagnate siano semplicemente vittime di sviste da parte delle mogli, che lavano la biancheria intima strofinandola con pezzi di selce, le cui schegge rimarrebbero impigliate nelle mutande uccidendo poi i poveri uomini!”

“Ma… quante donne sono movte, finova?”

“Nessuna, riesco sempre a salvarle in tempo!”

“Salv… Crisavio!”

Manàzorabasileios scattò in piedi e puntò un dito contro il giovane: “ALLORA RUBI VERAMENTE LE MUTANDE ALLE DONNE!”

Improvvisamente vennero circondati da una decina di demonietti, grandi come Auvo, blu come la notte, pettinati come la Luna e vestiti come uno stilista d’alta moda mentre si fa la doccia.

…Cioè si, bravi! Con le mutande a tracolla… ma come avete fatto a indovinare?

Tutti dottori in moda e costume?

“oddio, i mutandèmoni!”

“Ancora!”

“Dateci le mutande!”

“Non le povto!”

“Zuzzurellina…”

“Cos… idioti!”

Auvo raccolse un sasso e lo lanciò in testa ad un mutandèmone, tramortendolo.

“Pev Zeus! Hai visto, Manà?”

“Maledetta! Prendi!”

Un mutandèmone tentò di saltare verso di lei per infilarle le mutande avvelenate, ma Auvo fluttuò in alto.

“Bleeeeh!”

Gli altri mutandèmoni saltarono addosso a Crisavio e Manàzorabasileios, immobilizzandoli a terra.

“Manà!”

“Portate le mutande!”

“Che taglia, capo?”

Il primo mutandèmone gettò a terra forbici e cartoncino colorato, e afferrò per il collo l’altro.

“Che t’importa cosa taglio? Eh?”

“Ma capo…!”

“Lavori per qualcuno?”

“P-per lei!”

“LEI chi?!”

sollevò una mano per schiaffeggiare l’altro, ma improvvisamente capì le sue parole e lo lasciò andare.

“PRENDETELA!”

“No, capo!”

“La difendi, ora?!”

Gli altri mutandèmoni tirarono fuori delle mutande, e iniziarono a legarle assieme.

“E cosa vovveste fave?”

“Auvova! Vai a chiamare gli altri!” gridò Manàzorabasileios, ancora bloccato a terra assieme a Crisavio.

I mutandèmoni finirono di legare le mutande, fissarono i due capi a due alberi e poi uno di loro si posizionò al centro della corda d’intimo.

“Auvova! CORRI!”

Auvo si volse e iniziò a fluttuare verso le case, quando qualcosa le atterrò addosso e le si aggrappò alle spalle facendola cadere a terra.

“Presa!”

“Togliti di dosso, mostvo!”

Auvo cercò di divincolarsi dalla presa del demonietto, ma altri giunsero ad aiutarlo, riuscendo ad immobilizzare la ragatta.

“Perfetto, mutandatela!”

“No, fevmi! Vi pvego!”

“Fermatevi!”

Manàzorabasileios riuscì a divincolarsi, si alzò in piedi e iniziò a correre verso Auvo.

“Noooooo!”

i mutandèmoni erano quasi riusciti a metterle le mutande, quando Auvo prese a brillare, sempre di più, finchè tutti i presenti dovettero coprirsi gli occhi (tranne Crisavio, che aveva pensato bene d’inforcare i suoi occhiali da sole stilosissimi in ferro di baobab).

La luce era così forte che quasi tutti gli abitanti del villaggio ne furono svegliati e corsero fuori a vedere cosa stesse succedendo, notando con chiarezza soltanto Crisavio bloccato a terra da piccoli esseri blu.

“I PUFFI DELLA BUONCOSTUME!”

il grido di un contadino sparse il panico nel resto della gente.

“Si salvi chi può!”

“Non ho fatto niente, vi prego!”

“Confesso, ho rubato le mutande alla mia vicina, non giustiziatemi!”

“Si, anch’io!”

“E anche io! Non fateci del male!”

“E’ vero, siamo tutti colpevoli! Speravamo solo di riuscire a farla franca incolpando Crisavio!”

Tutti gli uomini del villaggio corsero incontro alla luce e una volta vicini caddero in ginocchio, piangendo e tirando su col naso mentre continuavano a invocare pietà.

Crisavio, sentendo che era stato incastrato, si divincolò furiosamente dalla presa dei mutandèmoni, gettò via i suoi occhiali, e piazzandosi tra quella luce prepotente e i suoi compaesani, li squadrò tutti con sdegno.

Intanto, le donne avevano raggiunto gli uomini e li stavano bersagliando coi loro vestiti sporchi, fischiando e insultandoli.

“BASTA!”

Il grido di Crisavio fu sufficiente per attirare su di lui l’attenzione di tutti i presenti.

“Ma guardatevi! Non vi vergognerete mai abbastanza per quello che mi avete fatto!”

“Perdonaci, Crisavio!”

“Non basta!”

“Eh?”

“Non basta, vi dico! Il mio nome, pronunciatelo bene! Io… sono Crisavio il Magnetico!”

“Ma… qui siamo tutti magnetici!”

“Allora io sarò d’ora in poi ‘Crisavio il Magnefico’!”

“OOOOOH!”

tutti guardavano il ragazzo, avvolto da un’aura luminosissima, come un dio divino e anche più.

Un’aura che improvvisamente si fece rossa, rassomigliando una fiamma, e poi si spense.

“CRISAVIOOOOOOOO!”

Crisavio cadde a faccia in avanti a causa di un improvviso spostamento d’aria alle sue spalle.

“Auvova…”

Manàzorabasileios era a terra anche lui, e fissava con terrore il punto in cui si trovava la ragatta.

Crisavio si sollevò da terra e guardò a sua volta.

Quello che vide lo lasciò senza fiato.

Auvo, la piccola creatura fluttuante, non c’era più: al suo posto, in terra dove l’avevano spinta i mutandèmoni, vide solo un paio di stivali di ghiaccio, alti e slanciati, piantati ben saldi in terra. Spostando lentamente lo sguardo verso l’alto, Crisavio vide un paio di cosce corpose e sode, una corta gonna di quella che pareva spuma marina, un busto di ghiaccio striato di magma che a fatica conteneva un petto florido, e poi un volto: un volto incorniciato da lunghi ricci neri, con labbra sottili piegate a mostrare dei denti rabbiosamente stretti, con occhi pieni di sdegno che era sicuro fissassero lui, un volto che gli ricordava sicuramente quello della creatura che accompagnava il naufrago, ma che aveva qualcosa di diverso, come se stesse guardando la sorella maggiore di quella piccoletta.

Incazzata come Elio durante un’eclissi solare.

“Crisavio… in piedi!”

Crisavio si sollevò di scatto.

La donna in armatura di ghiaccio e spuma, con un’espressione molto meno minacciosa di prima, si avvicinò lentamente a lui, e gli si genuflettè davanti.

“Crisavio…”

“S-si?”

“Crisavio, riesco a sentire i tuoi pensieri tentare di afferrarmi la testa e spingerla sui tuoi genitali…”

“Non è vero!”

“Crisavio…”

La donna avvicinò la testa al pube del ragazzo, facendo correre le mani alle sue caviglie. Crisavio chiuse gli occhi.

“Prometti di servire Ablabia, Crisavio?”

“Quello che vuoi…ah…”

Ablabia assunse di nuovo un’espressione feroce.

“Bene… allora sii la mia arma!”

“Cos-WAAAAAAH!”

Crisavio riaprì gli occhi in tempo per vedere tutto intorno a lui vorticare in ogni direzione, mentre in realtà Ablabia lo teneva ben stretto per le caviglie, come una clava, e lo sventolava davanti a sé.

“Maledetti porci! MORITE!”

Ablabia saltò in direzione degli uomini prostrati a terra e diede un potente colpo di Crisavio al centro del gruppo, facendoli volare in ogni direzione.

“AH AH AH AH AH AH!”

Si volse, e roteando Crisavio colpì violentemente ogni singolo mutandèmone, lanciandoli quasi oltre l’orizzonte.

“Che belva!”

“Si, però… che tette!”

Ablabia si bloccò per qualche istante, incredula di fronte a quelle parole; poi la rabbia tornò a pervaderla, ma così furiosa che le si formò un diadema di schiuma d’acqua ribollente sulla fronte, e tornata dagli uomini, li colpì ancora e ancora, finchè Crisavio non le sfuggì di mano e andò a conficcarsi nel muro di una casa vicina.

“GRRAAAAAAAH!”

Vista una donna, andò lì e la sollevò tenendola per il collo.

“Tu… puzzi di uomo! Dì, sei sposata, per caso?”

“Si, si, lo sono!”

“IDIOTA! Gli uomini vanno usati, non amati!”

Ablabia la lasciò andare, e poi ruggì in direzione delle altre, che fuggirono via urlando.

A quel punto, si volse.

Rimaneva solo quel giovane cogli occhi azzurri, in piedi davanti alla luna piena, che la fissava, così gli si avvicinò.

“Sei un uomo?”

“Cosa vedi, tu?”

“Cosa vedo e cosa sento è diverso, dunque rispondimi!”

“Auvova.”

“Cosa?! Vuoi morire?”

“Auvo la ricordi?”

“Io sono Ablabia!”

“Auvo è mia amica. Ti prego di restituirmela, Ablabia.”

“Non sei in grado di proteggerla!”

“Non è necessario, vedo. Ora restituiscimela.”

“…sappi che non sono d’accordo, uomo-non uomo.”

Ablabia venne avvolta da un vortice d’acqua alto almeno due metri, e quando questo si dissolse, a terra Manàzorabasileios vide Auvo addormentata. La prese in braccio e si avviò verso la capanna di Crisavio.

***

“Ma insomma…”

“Silenzio!”

L’uomo abbassò di nuovo la testa e continuò a strofinare i panni col sapone.

“E dopo andrai a pescare la cena per noi e i nostri figli! Strofina bene!”

Auvo fluttuò tra le case vicine a quella di Crisavio e fu contenta di vedere quei pervertiti pagare per la loro sconcezza.

“Auvo, vieni, dobbiamo andare!”

“Avvivo, Manà!”

Raggiuntolo, si avviarono fuori del villaggio.

“Ma dove andvemo, ova?”

“Crisavio mi ha detto che proseguendo a sud lungo la costa arriveremo in Beozia, e lì c’è un suo amico che può aiutarci.”

“A pvoposito, ma come mai oggi Cvisavio non mi guavdava neanche in faccia?”

“Beh, ieri notte, dopo che sei svenuta per via di quelle mutande, ha tentato di guardarti sotto la gonna, ma nel sonno gli hai tirato un bel calcio in faccia e non ha più osato avvicinartisi, ah ah ah!”

“Povevo Cvisavio, fovse in fondo vuole solo una vagazza…”

“Vuoi essere te?”

“Ma no!”

Auvo fece per colpirlo su una spalla, ma Manà corse via ridendo, e lei lo inseguì.

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Sorgono Auvova e Manà sulla manona

Auvordinaria Amministrazione!

Mattino, e sempre Eubea.

“Manààà…”

Auvo stava seduta sulla testa del mecha, col mento poggiato sui palmi delle mani, e dondolava lentamente le gambe nel vuoto.

“Manààà…uff…”

continuava a chiamarlo ormai da un po’, e visto che lui non si decideva a uscire, lei decise di andare a vedere cosa stesse facendo; si sollevò in aria, e andò a bussare alla porta del mecha, sul lato della testa.

Nessuna risposta.

Auvo provò allora a poggiare l’orecchio sulla porta.

“Ehi, EEEHIIIIIII!”

“Wah!”

Spaventata dal grido improvviso, cadde all’indietro e sbattè il sedere a terra.

“Ahio, uffa! …Manààà?”

Di nuovo nessuna risposta.

“Ma cos’ha, ‘sta povta? Non escon suoni…”

Preso coraggio, si rialzò in piedi e aprì la porta.

“HO DETTO BASTAAAA!”

“ARGH!”

“FERMO, DEFICIENTE!”

“IIIIIIYAH! HUH!”

Auvo corse dentro per vedere cosa stesse succedendo, e si trovò su di un balcone che affacciava sull’interno del mecha; infilò la testa tra le sbarre della ringhiera, e vide che dal balcone partiva una rampa di scale a chiocciola che correva lungo le pareti e andava verso il basso, mentre al centro del robot una gran quantità di ruote dentate, tubi e cavi, giravano, oscillavano e stridevano.

“Eppuve da fuovi non si sentiva nulla…”

Stridevano, ma sottovoce.

“Impvovvisamente, fan meno vumove. Mah. Manààà?”

Sentì dei colpi di spada, così Auvo fluttuò giù per le scale fin quando non vide Manà correrle incontro.

“Manà, ma che succede?”

“Attenta!”

Il ragazzo l’afferrò e continuò a correre; Auvo riuscì solo per un attimo a vedere che qualcuno li stava inseguendo, poi svoltarono.

“Aaaaah! Ma chi è quello?!”

“Non lo so, un pazzo lacedemone armato fino ai denti!”

“Eh? Lacedemone?”

La massa d’ingranaggi accanto a loro esplose e ne uscì l’inseguitore, un guerriero con due spade, calvo e vestito solo d’un gonnellino di pelle.

“AAAARGH! TU!” sbraitò afferrando Auvo e sollevandola in alto, “DOV’E’ ZEUS?”

“Ma… Cvatos!” fece Auvo, alchè Manàzorabasileios corse incontro al guerriero e gli diede un pugno in faccia, facendolo cadere a terra.

Auvo svolazzò da quello per vedere come stesse.

“ZEEEEEEUS! ZEEEEUS! ZE-Auvo?”

“Allova sei Cvatos vevamente!”

“Auvo… ma dove sono…”

“In Eubea, nel suo vobot!” disse lei indicando Manà.

“Ho sbagliato ancora statua…”

“Auvova…” commentò il giovane massaggiandosi le nocche della mano destra, “lo conosci?”

“Si, è il mio bidello pvefevito!”

“Il t… Auvo, quanti anni hai?” chiese Manà, incuriosito.

“Si!” rispose la ragatta, e poi si accorse che Cratos, ancora steso a terra, le stava allungando un foglio di pergamena, che lei prese e lesse, diventando sempre più bianca.

“Auvo, cos’è successo?” chiesero gli altri due all’unisono;

“Oh, che fastidio! Ova mi tocca tovnave! Uffa!”

“Beh, la Scuola non può aspettare…” commentò Cratos sollevandosi a mezzo busto da terra.

“Scuola? Che scuola?” chiese Manàzorabasileios.

“la vinoamata Scuola Spovadica, si.”

“Rinoamata?”

“Ma quale naso, Manà! Vinoamata!”

“Rinomata?”

“Beh, cvedevo che la mia Scuola lo fosse, ma evidentemente…”

“Studi lì?”

“Si, sono la magnifica veggente!”

“Predici il futuro?”

“Nooo! Veggente, non veg-ehm… io divigo la Scuola!”

“Cos… eh?! Cioè, sei rettrice?!”

“Ah, si, non veggente, vettvice!”

“Ma stavi con Serse!”

“Con lui non ha funzionato!”

“Perchè, stavi con Serse?!”

“Ma se l’hai detto tu, Manà! Sei geloso?”

“Ma se ti conosco da meno di un giorno!”

“Infatti! Fammi finive! …Evo su quella nave pevchè mi avevano pvesa per il Sevsasmus…”

“Ah. Però. Una ragatta parecchio studiosa, eh?”

“Nyaaa…” Auvo si schermì il volto con una mano.

“Ahh, beh. Insomma, devi andare nelle Sporadi?”

“Eh? Oh, si!”

Manà si avvicinò alla parete, la colpì forte in due punti con un martello, e poi tornò da Auvo sorridendo.

“Dunque… si, credo che il robot ce la possa fare.”

“A fav che?”

“A nuotare fin là. Tanto le Sporadi sono quelle davanti a noi, eh…”

Cratos riuscì finalmente a rimettersi in piedi: “Ehi, posso venire anch’io?”

“Mmh… non mi piace il tuo nome…”

“Manà, ma che dici?!”

“Uff… e vabbè, allora vieni…”

Fu così che i tre si diressero alla volta delle Sporadi facendo nuotare l’Aiace Telamecha a delfino… e provocando la nascita di una nuova setta di pessimisti apocalittici tra i pescatori d’Eubea.

“AUVOVA!”, gridò Manàzorabasileios, cercando di sovrastare i boati delle bracciate del robot, “MA COME MAI SEI RETTRICE DI UNA SCUOLA?”

“Pevchè-

“EEEHH?”

“PEVCHE’ HO FATTO DOMANDA!”

“DOMANDA?”

“SI, C’EVA UNA BOVSA DI STUDIO!”

“PER FARE LA RETTRICE?!”

“SI!”

“SI CHIAMA STIPENDIO!”

“NO, NO, E’ BOVSA DI STUDIO!”

“E CHI L’AVREBBE ISTITUITA?”

“IL VETTOVE!”

“COSA?!”

“IL VETTOOOOO-

Auvova e Manà vennero improvvisamente sbalzati in avanti andando a cozzare contro la parete di metallo.

“AHIA! MA COS’E’ SUCCESSO?”

“NNNH… FORSE SIAMO ARRIVATI!”

“CVATOS, SIAMO AVVIVATI?”

“Si, siete arrivati!”

“PERCHE’, TU NO, CRATOS?”

“Per fortuna no!”

Auvo guardò Manà, e lui fece spallucce.

“CVATOS, NON TI CAPIAMO!”

“Che faccio, urlo anch’io?”

“SCIOCCHINO, SE NON UVLASSI NON TI SENTIVEMMO!”

“Già. Comunque il robot ha smesso di nuotare, e le vostre grida stanno terrorizzando gli studenti.”

Una folla di giovani si era assiepata in pochi minuti sulla spiaggia, per osservare l’aspetto d’un dio naufrago, e ognuno aveva qualcosa da dire:

“E’… maestoso…”

“A me pare come un qualcosa che non so spiegarmi e però c’è di brutto…”

“Bellissimo…”

“Ho visto di meglio…”

“Quelli dell’Accademia di Rodi fanno sempre gli scherzi migliori!”

“Un titano!”

“Che ditone!”

Improvvisamente, la testa si staccò dal robot riverso sulla spiaggia, cadde a terra capovolta, e dal collo iniziarono a partire fiumi di scintille.

“E’ Zeus! Pòffare, qual variopinto saettare!”, fece uno studente: “Sarà in collera?”

“Scusami, perchè dovrebbe staccarsi la testa da solo, se è in collera?”

“Magari è in collera proprio perchè si è staccato la testa!”

“La causa, cioè… è anche la conseguenza!”

“Quindi gli eventi seguono un percorso circolare!”

“E noi due fonderemo una Scuola tutta nostra!”

“Per gli dei! Guardate la testa di Zeus!”, fece un altro studente, indicandone un lato.

La porta si aprì, e ne uscì fluttuando una ragatta riccia e tutta spettinata.

“ATENA!” fecero i ragazzi in coro, “nata da un lato della testa di Zeus!”

“Cos-ehi! Vagazzi! Sono io! La vettvice!” gridò tutta felice Auvo, agitando le braccia verso di loro.

“Ah… era solo la rettrice…”

“Torniamo in aula, è meglio…”

Auvo li vide allontanarsi sconsolati, e ne fu dispiaciuta. Poi Manàzorabasileios le volò accanto andandosi a conficcare a testa in giù nella sabbia della spiaggia.

***

Manà si risvegliò su di un triclinio di marmo, e appena si sollevò un poco fu colto da un gran mal di testa.

“Ma dove…”

“Nell’Esculapievia!” fece un’Auvo sorridente: “Non ne volevi sapeve di svegliavti, così ho pensato che fovse t’evi fatto male sul sevio!”

“beh, grazie… ma tu sei la rettrice! Non puoi mica perdere tempo con me!”

“Mah, non cvedeve, sai… esseve vettvice significa esseve l’ultima delle matvicole… conti come una scheggia di dvacma…”

“Ma che scuola è?!”

“Andiamoci, la vedvai…”

E usciti dall’Esculapierìa, si trovarono di fronte al palazzo della scuola, sopra la cui porta campeggiava il motto che guidava studenti e professori:

Πιύ ιμπορταντε δελ βινο έ ΑΒΕΡΕ ιλ βινο

Manà era sconcertato.

“Manà, dove vuoi andave, a lezione di Pvamnio o di Thasio?”

“Auvova, ma dove mi hai portato?!”

***

Appena Auvo e Manà si furono seduti con gli altri ragazzi, il professore entrò barcollando, e nel vederli, sospirò.

“Ah, bene. Cioè, dipende: avete fatto quello che v’avevo chiesto?”

Un giovane si fece avanti e aiutò il professore a raggiungere la cattedra di marmo, su cui quello si stese pancia all’aria.

“Si, maestro, abbiamo fatto una colletta e le abbiamo comprato del Thasio…”

“Bene, allora, bene! E dov’è?”

“L’avevamo lasciato qui fuori ma devono averlo rubato, ci perdoni…”

“AH! Maledetti! Devono essere stati quegli altri persiani, ragazzacci sfrontati!”

“Maestro, ma è sicuro?”

“Osi dire che non sappia ricoscere dei ladri quando li vedo?!”

“Vedo?”

“AH! Tu vedi! Bravo, bravo! Ecco!” fece rivolgendosi al resto della classe, “Prendete esempio, il vostro compagno vede!”

“Maestro, ma la visione…” fece un altro, “…insomma, non dovrebbe essere più bassa?”

“Bassa, bassa! Bassissima! E mi sapresti dire cosa, invece, deve essere alto?”

“Il volume della musica!”

“Bravo!”

“Scusi!”

Tutti si voltarono verso Manà, che però non si fece intimidire: “Lei non dovrebbe spiegare cose come l’origine di tutto, o gli dei, o l’etica?”

Il professore sollevò la testa contrariato, rotolò giù dalla cattedra e si tirò in piedi appoggiandosi al banco di Manà.

“Caro ragazzo, mi svegli sembro… cosa vorresti pasere?”

“sembro?”

“Si, si, sembr… aspè, ma ho detto semb… ah ah ah!” così ridendo cadde di nuovo a terra e lì rimase sghignazzando.

“Beh, vagazzi, la lezione è finita. Ova tutti a Pvamnio!”

***

Una volta che tutti si furono seduti sul prato, il maestro di Pramnio iniziò a parlare.

“Allora, come saprete, oggi abbiamo l’onore di avere fra noi la nostra rettrice…”

I ragazzi si alzarono in piedi e applaudirono in maniera poco convinta.

“E un nuovo collega, Manàzorabasileios!”

L’applauso si fece caloroso.

“…Venuto qui a riportarci la nostra dispensabile rettrice.”

L’applauso si spense rapidamente, e tutti si rimisero seduti.

“Bene, dunque… ah, Sfighèferos, dov’eravamo rimasti l’ultima volta?”

“Ci stava raccontando della creazione del mondo, maestro.”

“Ah, si… dunque, in origine era il Vino… ehh, bei tempi…”

“Maestro, ma non è possibile!”

“E perchè mai, Indios?”

“Perchè gli dei sono molteplici, e-

“Caro ragazzo, sappi che gli dei sono molteplici, ma un dio è uno. Ero rimasto al Vino primevo, si… beh, da esso ebbe origine tutto, si sa. Domande?”

“Maestro, ma allora da quale dei quattro elementi nasce l’uomo?”chiese un altro studente.

“Dal vino, ma raramente.”

“Oh! Manà, ova sta’ a sentive, questa è davvevo filosofia Spovadica!” bisbigliò Auvo con gli occhi che le brillavano, e Manà si concentrò sull’imminente dibattito.

“Ma allora, come si può definire, un dio?”

“Divino, ma raramente.”

“Cosa distingue il filosofo dall’uomo comune?”

“E’ avvinazzato, mai raramente.”

“Quindi, in cosa è bene essere moderati?”

“Nel bere vino, ma raramente.”

“Scusate, maestro, ma allora… dov’è, la Verità?”

“Nel vino, ma raramente.”

Manàzorabasileios era esterrefatto, e seguì le domande successive con crescente interesse misto a disgusto. Quello che, sopra tutto, gli rimase impresso, fu il racconto della scomparsa di Atlantide, sommersa quando i suoi abitanti, cercando di essere i primi in tutto, calcolarono male la quantità di bronzo necessaria per forgiare la coppa più grande del mondo e quella si ruppe mentre veniva riempita col vino di tutta la Grecia, sommergendo la città e affogando gli abitanti, ebbri di morte.

Si rese conto di stare fantasticando solo quando ormai la discussione era finita, e il maestro stava raccontando del fondatore della Scuola Sporadica.

“Il nostro capostipite è passato alla storia come l’uomo che, quando Prometeo gli portò il fuoco, rispose “No, grazie… per me un Pramnio doppio con olivetta, grazie”. E sapeva distillare anche i sassi! Una grappa di ghiaia squisita.”

“Quand’è che ha scoperto la Verità?” chiese Manà, affascinato dalla lezione.

“Beh, aveva trent’anni, e sua moglie era appena fuggita col loro cavallo.”

“Ladra!”

“Via, ragazzo mio, lui non fu così drastico nel giudicarli.”

“Giudicarli?”

“Si, lei e il cavallo. Fu per amore. Li scoprì a letto assieme.”

“BESTEMMIA! Sanno tutti che fu piuttosto il Thasio, ciò che chiese a Prometeo!”

tutti si voltarono verso chi aveva appena inveito, e videro che si trattava nientemeno che del professore della lezione precedente, ancora ubriaco.

“Come osi interrompere la mia lezione, ignorante amante del vino Thasio?!”

“Cosa! Maledetto, Zeu ti flumini!”

“E ti dirò di più, pazzo ubriacone, non concordo affatto con la tua sciocca idea dell’Acqua!”

“Una discussione sull’archè?” chiese Manà, tutto eccitato, ad un altro studente.

“No, credo sia per-

“Idiota! Balordo! La mia interpretazione è la migliore! Il Maestro ha chiaramente lasciato scritto che “La Vita è imperfetta perchè gli dei, sia lode alla loro accidia, la comprarono che bastava aggiungere acqua calda e poi era pronta.”, lo capirebbe anche la rettrice!” disse sollevando Auvo per la collottola e poi lanciandola di nuovo tra i discepoli.

“EHI!” protestò Auvo fermandosi a mezz’aria, ma nessuno le diede retta.

“Era Vino!”

“Acqua!”

“Vino!”

“Acqua!”

“Vino!”

“Vino!”

“Acqua!”

“Hai detto Acqua, imbecille, ho ragione io!”

“AAAARGH!”

Il maestro di Pramnio si lanciò su quello di Thasio e presero a lottare, incitati dai ragazzi assiepati lì intorno.

“LO FACCIO A PEZZI! PORTATE DEL PRAMNIO!”

“BWAAAAARGH! THASIO E ACQUA DI MARE, PRESTO!”

“Andiamo noi!” Auvo prese Manà per un braccio e fluttuò via verso la spiaggia trascinandolo.

“Ahio, Auvova, mi fai male!”

“Ti pvego, povtami via di qui!”

“E come?! Sei la rettrice!”

“Non voglio più! Appvofittiamone e scappiamo!”

“No, aspetta, ho un’idea migliore! Dov’è che vendono il Pramnio?”

“No, no, ti pvego, non tovniamo lì!”

“Ma non capisci? E’ l’unico modo per farti scappare di qui!”

“No… non capisco… pevò mi voglio fidave…” Auvo indicò un molo poco lontano. “Lì c’è un vagazzo di Lesbo che vende il Pvamnio, lo impovta solo lui…”

“Bene, andiamo!” Manà corse verso una capanna vicina al molo, trascinando Auvo ancora fluttuante, che depressa com’era, pareva un fazzoletto in mano ad un maratoneta.

***

“Mocci sono io, e da Lesbo giungo! …oh, suona fico!” il ragazzo, alto e allampanato, con un berretto da pescatore da cui s’affacciava qualche ciuffo biondo, era in piedi sul tavolo del suo spaccio di Pramnio e stava immaginando di essere un eroe della guerra di Troia.

“MOCCI IL LESBICO!”

“OHH! E basta con ‘sta battuta, m’avete stufato!” fece rabbioso voltandosi verso la porta, convinto fossero i figli dei pescatori che giocavano lì vicino.

“No, io veramente… sei Mocci, giusto?” fece Manàzorabasileios.

“Si, sono io! E SI, MIA MADRE E’ LESBICA, COME SUA MADRE E LA MADRE DI SUA MADRE, SEGNO CHE ALLA FINE TANTO LESBICHE NON ERANO! OH!” cadde a sedere ancora rosso in viso. “Che volete?!”

“Oh, io volevo solo del Pramnio!”

“Paga!”

“Non ho denaro!”

“E allora non-

“Ti cedo la carica di rettore della Scuola Sporadica!”

“WTFOS!”

“Ma sono io, la vettvice, Manà!”

“Vabbè, paga lei! Come si passa la carica? C’è uno scettro? Una corona? Un modello precompilato?”

“Si, c’è un modello, ma posso passarla anche a voce!”

“FALLO!”

“Sei il nuovo vettove, Mocci! EVVIVA SONO LIBEVAAAAAAA!”

“Evviva!”

“Dacci il vino! SVELTO!”

“Eccolo! Me sa che m’avete fregato!”

“Ormai è fatta!”

“Mannaggia Priapo!”

***

“Dai, Auvova, sbrigati! Salisci!”

“Eh?”

Ripresasi dal momento di gioia accecante, Auvo si rese conto di essere nell’Aiace Telamecha 01 che iniziava a dare le prime bracciate verso la terraferma.

“Salisci? Manà, non è che-

“Il Pramnio è buonissimo! RIESCO QUASI A TOCCARE LA TERRAFERMA!” delirò Manà protendendosi verso il mare. Ai suoi piedi, un’anfora vuota.

“KYAAAAAAAAH!” gridò Auvo capendo che il robot era totalmente fuori controllo.

“AHAHAHAH, UNO SCEMO HA LASCIATO ACCESO IL SOLE DI NOTTE! GUARDALO LA’! AHAHAHAH!”

“MANAAAAAAA’!” Auvo, disperata, cercava invano di scuoterlo.

“GUARDAMI, AUVO, SONO UN FILOSOFO SPORADICO ANCH’IO: ROSSO DI SERA, CARNE PER CENA! AHAHAHAHAH!”

“AAAAAAAAAAAHHH!”

Senza nessuno a fermarlo, l’Aiace Telamecha 01 finì per schiantarsi sugli scogli, mentre Auvo e Manà vennero sbalzati più avanti su di un prato, dove persero conoscenza.

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Offese Gratuite

dicembre 30th, 2010

A chiunque manchino le idee, rendendomi conto che a Natale non possiamo certo esser tutti più buoni ^^

-Pe colpa de ***, ora le Kinder Fiesta sono illegali.

-l’Amore è cieco! la Fortuna è cieca! SOLO IO ‘O DOVEVO VEDE!

-In tempo di guerra ogni buco è-ODDIO, E’ ***, SPARATEME!!!

-Da quando *** ha scalato l’Everest, le aquile non osano più. Le galline manco s’azzardano!

-Angela Fantozzi ha visto *** e ha vomitato. Padre Merrin, udito lo sbratto, s’è affrettato per vedere se fosse il Diavolo, ma è morto sul colpo.

-Una volta *** è entrato nella casa di The Grudge e dopo è stata avvistata una giovane donna completamente bianca uscire di lì bestemmiando contro il sindacato di Carletto.

-Appena nato ***, l’ostetrica, notando gli sguardi terrorizzati dei genitori, propose di gettar via l’infante e tenere la placenta.

-Una volta hanno mescolato tra le tessere di un test di Rorschach una foto di ***, ma nessuno ha notato la differenza.

-*** era così bello che lo chiamavano Guernica.

-Si dice che Leary promosse l’LSD per salvare l’umanità dalla vista di *** .

-Ho visto frittate pettinate meglio di ***.

-Dopo essere venuto a conoscenza dell’esistenza di ***, il Vaticano ha cambiato completamente atteggiamento nei confronti dei contraccettivi.

Se avete altre idee, postatele nei commenti, vediamo che ne viene fuori XD

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